RiEvoluzione Poetica

lunedì 8 aprile 2019

ITALIANI FASCISTI NEL LORO DNA?


di Marco Cinque

Le “leggi razziali”, assieme alle discriminazioni, alla repressione e ai massacri perpetrati dalla dittatura fascista del ventennio, furono una delle pagine più vergognose della storia italiana, dove vennero perseguitati ferocemente Rom, ebrei, omosessuali e dissidenti politici. Gli immigrati africani invece erano già “in casa loro”, così si andò a invadere, colonizzare, spossessare e massacrare interi popoli di quel continente. Quella siringa di male iniettata per due decenni nel corpo sociale, politico e culturale italiano, è stata condannata dalla storia, dalla Costituzione repubblicana e dalle attuali leggi, sebbene non si siano mai celebrati adeguati processi contro tutti i carnefici coinvolti e i loro complici. Quindi è come se quest'immane lutto collettivo non si fosse mai realmente elaborato.
Oggi, perciò, vediamo i frutti nauseabondi di questa mancata elaborazione con lo sdoganamento di fascisti e razzisti d'ogni risma, con saluti romani, marcette e presidi in camicia nera, aggressioni sempre più spregiudicate, coperture e protezioni istituzionali se non addirittura comportamenti politici e governativi che promuovono irresponsabilmente, per non dire criminalmente, le nuove ondate di intolleranza verso i non italiani, i diversi, i non allineati a questa nefasta tendenza che ci sta precipitando di nuovo verso l’abisso di quei disgraziati e tragici fasti.
Sentire poi in programmi della televisione di Stato degli ospiti affermare, senza essere fermati e sconfessati duramente dai conduttori, che i Rom sarebbero delinquenti nel loro DNA, cioè che sarebbero criminali per loro stessa natura e che per questo non vogliono e non possono integrarsi, oltre ad essere una tesi razzista è anche palesemente antiscientifica. Se tutto ciò oggi viene consentito, visto che la maggior parte dei Rom non possono essere deportati fuori dai confini del Paese perché, essendo cittadini italiani, a casa loro ci sono già, il passo successivo quindi non potrà che essere la reclusione in campi di concentramento o il loro sterminio fisico. 
La cosa più grave e insopportabile è che, a differenza del periodo nazifascista, dove la popolazione forse non si rendeva ben conto verso quale orrore stesse precipitando, oggi invece sappiamo alla perfezione dove ci condurranno le attuali tendenze politiche reazionarie e populiste, volte a soffiare sulle braci del pregiudizio e dell’intolleranza, col pretesto della legalità, della sicurezza e della difesa del patrio suolo.
Per non parlare di quel tanto invocato “prima gli italiani” che è un insulto alla decenza umana e agli italiani stessi, molti dei quali si scannerebbero volentieri tra loro se non ci fossero altri nemici contro cui scagliarsi. Ma di nemici interni, in questi disgraziati tempi, se ne trovano a bizzeffe, a partire dalle donne, dagli omosessuali e dai poveri, i cui diritti sanciti da anni di lotte e conquiste civili sono di nuovo in bilico grazie a rigurgiti sempre più maschilisti, omofobi, reazionari e bigotti.
Le cose sono due: o ci siamo dimenticati di ciò che scrisse Martin Niemöller (1892-1984) o, ancor peggio, lo ricordiamo benissimo ma vorremmo che tutto lo schifo passato si realizzasse ancora: «Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare».
Il buio del fascismo sta tornando come un cancro, ma oggi questo fascismo è parente stretto del capitalismo e le loro metastasi sono ovunque nel corpo di un tessuto sociale sempre più provato, ormai all’orlo di un’immane suicidio fratricida.
Prepariamoci dunque a resistere e a combattere per la difesa della residua umanità, ma capiamo bene e decidiamo, senza sotterfugi o ipocrite scappatoie, da che parte stare.



 



 

sabato 16 marzo 2019

UNA PICCOLA EBREA QUALUNQUE


di Marco Cinque

Uffa che barba, ancora con la solfa di questo strazio di Memoria?
Ancora con la noia funesta del ventennio fascista?
E chi mai a scuola ha studiato la storia più recente?
Quale adolescente conosce e sa perché nacque la Costituzione?
Quale campione di quali telequiz saprebbe rispondere all’ardita domanda?
Sappiamo molto sull’uomo primitivo, sull’impero romano, sul medioevo, l’illuminismo, il romanticismo, ma poco o nulla tra i banchi di scuola abbiamo letto e compreso del nazifascismo.
Sappiamo di Colombo e Garibaldi, degli italiani poeti, navigatori e santi, persino di gran rivoluzionari, ma poco o nulla sappiamo delle leggi razziali.
Sappiamo la retorica mielosa, eroica e unilaterale, di una storia faziosa e reticente. Sappiamo tanto, sì, sappiamo tutto, ma forse non sappiamo niente.
Poi ti capita tra le mani un libro in forma di vecchio quadernetto, scritto in versi da un antico giovinetto. Il suo nome è Moder Matteo, che col suo pennino intinto al calamaio d’una scomoda, bluastra verità, ha riempito quel buco di assenze che ci portiamo dentro, quel vuoto colpevole chiamato quotidianità. Ed è proprio là che abita la misura del male che ci manca, la percezione esatta del suo feroce peso.
Una piccola ebrea qualunque” è il titolo che, in bella calligrafia, racconta una brutta storia, ma lo fa con garbo e leggerezza, come una brezza che ti scava, che ti corrode dentro e tu non puoi più fingere di non sentire.
Un dialogo poetico a due voci che sembra vivere nell’adesso, un respiro diverso per due anime dall’aldilà, Lea e Rivka, due bimbe marchiate da quell’infame legalità, condannate all’invisibilità della loro presenza: due piccole vite diverse, italiane e straniere nella fascistissima Trieste, che dialogano esiliate dai banchi senza sapere l’una dell’altra, insieme come una storia sola: mentre una precipita, l’altra vola. Può mai esserci una simile grazia in così tanto orrore? E tu genitore, cosa diresti a tuo figlio se fosse nato dalla parte sbagliata della legge? E perché continui a piegarti ancora tra le belve di questo cannibale gregge?
L’immane tragedia con cui non abbiamo davvero fatto i conti ci presenta dunque il conto che non abbiamo mai saldato, sparigliando una storia che rischia di tornare come un fulmine abbattuto a ciel sereno, come un bimbo allattato col veleno in una valle di vergogna, come lo zombie di un fascismo sdoganato dalla sua immarcescibile fogna.
Grazie a Matteo Moder, a Lea, a Rivka, per averci riportato alla scuola della vita, per aver risvegliato quel tempo maledetto, con questo libro necessario di pura poesia che ha bisogno di voci, tante voci per essere detto e ridetto, per risvegliarci da quel letto di male a cui troppo facilmente ci siamo abituati. Poi, non hai nemmeno messo il nome dell’autore in copertina, che tu sia benedetto.


Matteo Moder
“Una piccola ebrea qualunque”
(Battello Stampatore srls, Trieste)
battellostampatore@gmail.com

96 pagine, 12 euro