Marco Cinque
Sembra che
ormai libri e giornali si leggano sempre meno e sempre peggio,
vittime sacrificali della deriva culturale in cui versa il nostro
Paese. Un Paese che taglia regolarmente risorse alla scuola, che non
tutela realtà come biblioteche e librerie, che propone modelli
culturali a dir poco discutibili e che ha ridotto i canali
d’informazione ad armi di propaganda e/o distrazione di massa.
Negli
ultimi anni circa 3.000 edicole di giornali hanno abbassato le
saracinesche, mentre hanno chiuso i battenti più di 2.300 librerie,
nonché innumerevoli luoghi di divulgazione culturale. Chi vive con
la scrittura e chi si occupa di tradurla in carta stampata sta
precipitando a grandi falcate verso un inedito declino; ma non si
tratta solo di declino riconducibile a una questione meramente
numerica, anche la qualità di ciò che ancora sopravvive risente di
una crisi che è ben più seria e profonda di quella che si nota in
superficie.
Sia
giornalismo che letteratura si riflettono infatti in un buco nero
inquietante, specchio di questi tempi disumani e di pari passo ad una
editoria rapace, concentrata per lo più sui residui profitti e sulle
poche briciole ancora da spartirsi. Quelli più seri, che siano
scrittori, giornalisti, poeti, editori o librai, non se la passano
affatto bene e vengono inesorabilmente risucchiati dentro una deriva
implosiva.
Chi
fa buon giornalismo è sempre più ignorato, quando gli va bene,
oppure resta vittima, non solo metaforica, delle notizie scomode che
si è coraggiosamente o incoscientemente permesso di divulgare: la
vicenda emblematica di Julian Assange e il macabro record di
giornalisti morti ammazzati nel mattatoio di Gaza, sono indice di
un'infezione cancerosa che sta oltrepassando l'apice peggiore di
qualunque altra epoca storica ci piaccia ricordare, con buona pace di
una verità ridotta in brandelli.
Letteratura e poesia sono
invece paradossalmente preda di una crescita bulimica che le ha
gonfiate a dismisura, ma solo di tessuto adiposo: tutti scrivono e
pubblicano libri, ma nessuno li legge e men che mai li acquista.
Nuovi eserciti di scrittori emergenti e novelli poeti sono colti da
una crisi di grafomania acuta e marciano uniti, ciascuno verso il
proprio anonimato, nella speranza di diventare famosi o almeno di
qualcuno che li legga e ne scopra le doti. Se soltanto scrittori e
poeti avessero davvero a cuore quella parola moribonda che chiamano
"cultura", di certo le librerie non sarebbero costrette a chiudere, ma
tant'è.
Non
bastasse, in questa deriva s’inserisce anche il florido mercato dei
premi e dei concorsi letterari a pagamento, con quote d’iscrizione
che variano dai quindici ai cinquanta euro. Si va da quelli legati ai
club privati Kiwanis, Rotary e Lions a quelli piccoli e grandi,
quelli nuovi e vecchi, quelli noti e meno noti, sparsi per tutto il
territorio nazionale. Ma più che un’apprezzabile realtà culturale
il fenomeno potrebbe essere definito un business che raccoglie le
ambizioni di autori e autrici che aspirano al massimo a ottenere
pergamene di partecipazione, attestati, coppe e targhe prodotte in
quantità industriale, da incorniciare e ostentare nei salotti oppure
da mostrare con orgoglio sulle proprie pagine social. Dall’altra
parte c’è poi il business dei grandi premi, quelli seguiti da TV e
giornali, quelli che, quasi sempre, incoronano nomi che pubblicano
con gli editori più ricchi e importanti della filiera.
In
questo strano fenomeno di pseudo-cultura un tanto al chilo,
s’inseriscono anche i festival e gli eventi culturali, dai più
famosi e celebrati a quelli meno noti, per finire a quelli
praticamente sconosciuti. Sembra che ormai ogni città, ogni paese,
ogni minuscolo borgo, borgata, quartiere e contrada abbia il suo
festival culturale da promuovere, dove scrittori, poeti e giornalisti
si alternano sui palcoscenici, leggendo versi, intervistandosi tra
loro o presentando libri.
Anche
molti editori, soprattutto quelli della domenica e quelli a
pagamento, si sono adeguati al mercatino dei concorsi e festival
d’ogni sorta, organizzando o semplicemente aderendo alle migliaia
di manifestazioni che rappresentano un humus fertile su cui
prosperare. I prezzi di copertina dei libri sono spesso proibitivi
per la bassa qualità di ciò che è offerto e molti ingenui autori
si consegnano spontaneamente nelle mani di venditori di pentole
riciclatisi in vannamarchi dell’editoria, i quali promettono mari e
monti agli incauti scrittori, salvo poi far pagar loro, a caro
prezzo, i costi della pubblicazione. Nelle home page di molti di
questi editori, se si vanno a scorrere i nomi di chi vi pubblica, al
di là di qualche reperto archeologico riciclato tra quelli studiati
a fatica sui banchi di scuola, troviamo foltissime schiere di
perfetti sconosciuti, titoli raccapriccianti e contenuti forieri di
una retorica stantia. Insomma, più che odore di cultura vi si coglie
un certo sentore di muffa.
Il
non plus ultra delle pubblicazioni inutili si materializza però in
quei contenitori di nulla che sono le antologie poetiche: vere e
proprie insalatone miste, a tema libero quando va bene, oppure
dedicate alla mamma, al papà, alla nonna, all’amore, all’amicizia
e ad altre stereotipate amenità. Naturalmente il trucco qui sta nel
far prenotare a ciascuno degli autori e delle autrici un certo numero
di copie, spesso a prezzo pieno, in modo che risulti assicurato un
discreto profitto per il furbissimo editore pataccaro di turno. Ciò
non significa che non esistano editori seri (a prescindere dalla
notorietà), autori di qualità (a prescindere dai giudizi soggettivi
della critica) e iniziative pubbliche apprezzabili (a prescindere
dalla generosità degli sponsor) a tenere vivo il livello culturale,
ma ultimamente si confondono o si perdono nella mastodontica offerta
di una cultura di plastica, pensata e realizzata solo per essere
consumata e poi dimenticata.
In
questo variegato panorama dell’editoria, si inserisce con
prepotenza anche il ricorso alle auto pubblicazioni, dove il colosso
Amazon ricopre un ruolo economico e divulgativo determinante. Basti
pensare alla recente auto-pubblicazione sulla piattaforma Kindle
Direct di un libro spazzatura, sia per i contenuti che per la qualità
letteraria, balzato clamorosamente in testa alle classifiche delle
vendite. La cosa emblematicha è che il volume non è opera di uno
scrittore, un poeta, un filosofo o un giornalista, ma di un generale
dell’esercito che ha puntato più sull’ignoranza che sulla
cultura del suo pubblico.
Anche
se prevedibilmente il web prenderà posto della carta stampata, non
si illudano gli alberi, comunque anche la loro sorte è segnata da
deforestatori ben più feroci e con molti meno scrupoli dei vecchi
consumatori fuorimoda di libri e giornali. Solo ai sogni e ai miraggi
sarà concessa l'immagine di una lettrice o un lettore che ancora
sfogliano pagine di carta, con la schiena poggiata al tronco di un
albero e le fronde a fargli ombra.