PAROLA
NUDA è parola che si fa poesia. Una
parola che non evoca, che non teme di esporsi, che non teme di
mostrare al lettore la sua più intima natura, ma che si mette
deliberatamente a nudo, poiché non ha nulla da temere e tutto
da rivelarci.
Le poesie di
Marco Cinque hanno la stessa devastante potenza di un’“Origine
del mondo” di Courbet e la stessa sinuosa bellezza di un nudo di
Modigliani: si presentano a noi come il suo autore (mai artefice!) le
ha generate, in tutta la loro candida essenza, ma esse recano pur
sempre brandelli del loro autentico travaglio, il “sangue” del
loro stesso parto. È così che si incarnano nel testo:
pure, dure, vibranti. La loro presenza si fa vagito che echeggia tra
le pagine. Esse esprimono a chiare lettere il candore dello sguardo
del poeta alla caparbia ricerca del verbo, alla ricerca di un corpo
sonoro che le faccia vocalizzare. Poiché in fondo, queste
parole non si nascondono, ma devono essere profferite, devono
rivelarsi al lettore dispiegando altrettanto nude verità,
presentandoci una realtà ineluttabile e vera che non può
essere rifuggita. Una realtà che ci offre l’instancabile
impegno dell’autore a comunicare il suo sentito messaggio, le sue
inesorabili e condivisibili verità.
Vi è
in fondo, nella poesia di Marco Cinque, proprio tutta l’urgenza di
svelare il suo più profondo pensiero, l’urgenza di nascere
nella nostra mente, di scorrere nelle nostre vene, di farci palpitare
l’animo, di innestarsi nel nostro cuore per deflagrarvi con tutta
forza il suo messaggio.
La sua è
una parola essenziale, ma tagliente. È una parola pura, ma che
lascia un segno. È una parola lieve, ma che erompe con la
forza del suo impegno, senza orpelli o accessori, rivestita solo di
se stessa. È così che ci incanta, è così
che emana tutta la prorompente forza del suo messaggio e la nuda
bellezza che la permea.
Alessandra
Bava
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