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Una lettera collettiva di alcuni redattori del manifesto, giornale la
cui lunga crisi è arrivata a un dunque: il 17 dicembre scorso due
offerte per l’acquisto della testata sono arrivate ai commissari
liquidatori: la prima, dello stampatore (e immobiliarista) romano
Farina; la seconda, di un gruppo di finanziatori il cui rappresentante è
Bevilacqua, ex membro del consiglio di amministrazioen della
cooperativa il manifesto. In questo sito
(http://www.democraziakmzero.org/2012/12/17/il-manifesto-una-cronaca/)
altre notizie sulla vicenda e la lettera collettiva dell’attuale
redazione del giornale.
Il manifesto è stata un’avventura straordinaria.
L’invenzione di una nuova forma della politica, quando ancora nessuno
immaginava che politica e comunicazione sarebbero diventate la stessa
cosa. L’esercizio quotidiano di un pensiero critico, in un sistema
dell’informazione che di pensiero critico non abbonda. La tessitura
incessante di una rete di relazioni ricchissima, con i lettori, i
collaboratori, i sostenitori. La costruzione di uno spazio in cui un
giovane sconosciuto, un operaio di Marghera, un collettivo femminista
erano autorizzati a parlare quanto un intellettuale blasonato. La
pratica quotidiana del confronto, talvolta ruvido ma sempre interessato
alle differenze in gioco, fra la generazione dei fondatori espulsi dal
Pci, quella del ’68, del ’77 e del femminismo, quella della Pantera e di
Genova. Il luogo di frontiera libero da dove abbiamo avuto il
privilegio di attraversare, raccontare, interpretare quarant’anni
densissimi di storia politica e culturale del mondo e della sinistra.
Tutto questo, e molto più di tutto questo, sotto la testatina
«quotidiano comunista». Che non è mai stata, per nessuno di noi – a
cominciare da Rossanda e Parlato, da sempre schierati per un giornale di
ricerca e di innovazione, non di partito ma di parte - un’etichetta
identitaria, né un programma ideologico, né tantomeno una tessera. E’
stata e resta, fondamentalmente, il segno di due cose. La prima: che
l’orizzonte del comunismo deve restare aperto, non come speranza per il
futuro ma come contraddizione del presente, contro la volontà di potenza
del capitalismo, contro la violenza sui corpi e sulle vite dei poteri
vecchi e nuovi, contro i manipolatori delle menti e i colonizzatori
dell’immaginario. La seconda: che fra quella testatina del giornale e la
vita del gruppo che lo produce debba esserci una qualche coerenza. Non
riconducibile solo alla formula proprietaria, pure importantissima, e
all’egualitarismo salariale. Bensì ad uno stile delle relazioni fra noi,
consapevole che quel «noi» è un soggetto prezioso e delicato, da
trattare con la stessa cura dell’oggetto-giornale da mandare in edicola
ogni giorno. Non dunque, come recita uno slogan oggi caro alla
Direzione, un manifesto «oltre le nostre persone», ma le nostre persone nella scommessa del manifesto.
Lettrici e lettori, collaboratrici e collaboratori ci chiedono perché
abbiamo mollato. Ce lo chiedono con dispiacere, talvolta sorpresi
perché non capiscono, talvolta irritati come se avessimo tradito
un’aspettativa o una certezza, una missione o un dovere di resistenza.
Hanno qualche ragione, perché avremmo dovuto dire più, e qualche torto,
perché anche i silenzi parlano, ad esempio di un tentativo di non
inasprire i toni, o del bisogno di elaborare una perdita. La risposta,
comunque, è semplice: perché poco o nulla di quello che per noi è stato
ed è il manifesto sopravviveva ormai in via Bargoni. Il che non significa pensare che il manifesto sia finito per sempre. Significa separarsi da un manifesto che in questo momento non è più quello che, fino all’ultimo, ci siamo spesi per tenere in vita e costruire.
Quando ci si separa, si sa che spesso volano gli stracci, e con gli
stracci molte bugie. Non staremo a contestarle o smentirle una per una.
Su qualcuna però non possiamo tacere.
Non è vero che siano emerse fra noi posizioni politiche e di politica
editoriale incompatibili. Né che ci sia stato uno scontro tra fautori
di un “giornale-partito” contro un “giornale-giornale”. E’ vero
piuttosto che negli ultimi anni è stato programmaticamente eliminato il
terreno stesso del confronto politico, culturale ed editoriale al
nostro interno. Qualsiasi discussione è stata ritenuta superflua e
perfino ostativa alla fattura di un giornale sempre più omologato, al di
là dei singoli contributi pure spesso eccellenti, alla stampa
mainstream, alla sua agenda, alle sue tematizzazioni; sempre meno
sperimentale nella formula editoriale (rapporto carta-online, rapporto
quotidiano-supplementi etc.); sempre più ridotto da intelligenza
collettiva a macchina produttiva veicolo di interventi esterni. Questa
ostinata chiusura della discussione ci ha oltretutto impedito di
confrontarci con il dato duro di un forte calo delle vendite, sempre
attribuito genericamente alla crisi della carta stampata e mai
analizzato come sintomo specifico di una perdita di autorevolezza e di
efficacia della testata.
Non è vero che la liquidazione coatta sia stata imposta dal Cda
uscente, segnatamente nelle persone del suo presidente Valentino Parlato
e dell’amministratore delegato Emanuele Bevilacqua. La liquidazione era
l’unica opzione possibile per evitare la procedura fallimentare,
tutelando i diritti e gli ammortizzatori sociali dei soci-lavoratori; lo
sapevamo tutti, e l’abbiamo approvata tutti, salvo un paio di
eccezioni. Essa non ci avrebbe impedito di tentare fin da subito – ormai
un anno fa – di mettere a punto un piano di riacquisto della testata,
con l’aiuto dei lettori e dei circoli, e di ridefinizione della
cooperativa e della redazione secondo criteri organici a un piano di
riforma del prodotto: per aggiornarne e rilanciarne il senso
politico-editoriale, che si era appannato negli ultimi anni, e per
risanare una gestione economica sbagliata, di cui tutti portiamo qualche
responsabilità. Purtroppo è stata seguita un’altra strada. Nessun piano
di riacquisto, mentre la cooperativa e la redazione venivano lasciati a
un’emorragia spontanea di competenze professionali e di funzioni,
senza nulla fare per tamponarla, e anzi giocando su sottoutilizzazioni e
prepensionamenti – questi ultimi nient’affatto «scelti», come ora si
dice, bensì accettati per ridurre i costi del lavoro, e per giunta
additati come posizioni di privilegio e fatti oggetto di una brutta
campagna «rottamatoria» da parte dei redattori più giovani – per
sfrondare il giornale da posizioni non allineate.
Non è vero dunque che la nuova cooperativa nasca dalla differenza
algebrica fra l’innocenza e la buona volontà di quanti «hanno tenuta
aperta la casa» e «il menefreghismo di chi ha lasciato il giornale in un
momento difficile». Essa è piuttosto il frutto dell’avocazione a sé, da
parte della Direzione e delle rappresentanze sindacali, di funzioni di
rappresentanza della proprietà collettiva del giornale che non sono di
loro pertinenza. Fino al rifiuto di eleggere un organismo garante della
trasparenza del delicato processo di transizione ed eventualmente di
vendita della testata.
Altro che menefreghismo, esili volontari e porte sbattute. Su questi e
su altri punti, di metodo e di sostanza, abbiamo continuato fino alla
fine a proporre strade alternative e a dare battaglia, senza mai far
mancare il nostro contributo gratuito di scrittura malgrado i dissensi,
peraltro pubblicamente espressi sulle pagine del giornale ma mai
raccolti, sempre respinti e più volte denigrati.
Sono queste le ragioni che ci hanno persuasi, non senza dolore, a non
partecipare alla formazione della nuova cooperativa, di cui non ci è
chiara né la prospettiva politico-editoriale né la discontinuità
amministrativo-gestionale. E che nasce da una consapevole messa in mora,
per non dire da un sostanziale disprezzo, di quello stile delle nostre
relazioni che dicevamo all’inizio. Se ne può trarre la conclusione che
noi ci siamo allontanati dal manifesto: ma solo dopo che il manifesto, «questo» manifesto, si era allontanato da noi. Quanto al domani, è tutto da scrivere.
Loris Campetti, Marco Cinque, Mariuccia Ciotta, Astrit Dakli, Ida Dominijanni, Sara Farolfi, Tiziana Ferri, Marina Forti, Maurizio Matteuzzi, Angela Pascucci, Francesco Piccioni, Gabriele Polo, Doriana Ricci, Miriam Ricci, Roberto Silvestri, Roberto Tesi (Galapagos)
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