di Marco Cinque
Nel 2007 l’Fbi venne condannata a sborsare un sostanzioso risarcimento record
di ben 101,8 milioni di dollari per quattro italo-americani di Boston: Henry
Tameleo, Louis Greco, Peter Limone e Joseph Salvati, ingiustamente condannati
alla pena capitale e rinchiusi in una cella della morte per 33 anni. Per i
primi due, purtroppo, non ci fu nemmeno modo di godere del risarcimento, poiché
morirono in carcere prima del processo che stabilì la loro innocenza.
Recentemente è emersa un’altra vicenda simile, si tratta di tre ex condannati a
morte afroamericani che hanno trascorso quasi quattro decenni in carcere a
causa della condotta illegale della polizia. Purtroppo sono frequenti i casi
dove gli agenti di polizia si macchiano di comportamenti brutali dove
terrorizzano, minacciano imputati e testimoni, producono prove false,
occultando invece prove di innocenza.
È il caso dei tre afroamericani Kwame
Ajamu, Wiley Bridgeman e Rickey Jackson, condannati a morte nel 1975 dallo
stato dell’Ohio per un crimine che non avevano mai commesso. Quando furono
incriminati e processati, con l’utilizzo di prove false e la testimonianza del
dodicenne Eddie Vernon, costretto a mentire dagli agenti, i tre imputati erano
tutti giovanissimi: Ajamu aveva appena 17 anni, quindi era minorenne, Jackson
ne aveva 18 e Bridgeman ne aveva 20.
Per capire come sia possibile che questi fatti avvengano con regolare
frequenza, basta consultare tutti i dati statistici disponibili, i quali confermano
che il sistema penale degli Stati Uniti punisce in maniera oggettivamente
discriminatoria e razziale, dal momento che, percentualmente, le minoranze sono
immancabilmente ai primi posti nelle classifiche delle incarcerazioni e delle
condanne capitali. Il primato di queste minoranze tartassate tocca ai nativi
americani, seguiti a ruota dagli afroamericani. Quindi anche queste vicende
intrise di razzismo istituzionale si connotano nell'attuale tragedia che ha
visto la morte di George Floyd per mano, anzi per ginocchio, di un agente di
polizia.
Tornando alla vicenda giudiziaria degli imputati afroamericani dell'Ohio, i tre
furono processati quattro mesi dopo la rapina e l’omicidio di Harold Franks. Il
dodicenne Vernon, testimone chiave del crimine, fu costretto a mentire dagli
agenti che minacciarono di mandare in prigione i suoi genitori se non avesse
collaborato e all’epoca la madre dell’adolescente era anche malata di cancro.
A seguito della causa civile contro la polizia dell’Ohio, il risarcimento di 18
milioni di dollari stanziato per i tre ex condannati a morte è il più elevato
mai concesso in questo Stato: Jackson riceverà il 40% dell'indennizzo,
Bridgeman e Ajamu invece si divideranno equamente il resto. Quando è stato raggiunto l'accordo per il
risarcimento, Ajamu ha affermato: “Il denaro non può comprare la libertà e il denaro non è il riconoscimento
dell’innocenza, ma questo accordo era l’unico modo per dire al mondo che è
stato fatto un torto a tre ragazzi neri 45 anni fa”.
Purtroppo ancora oggi il dipartimento di
polizia di Cleveland continua ad avere una pessima reputazione, ricevendo
continuamente accuse e denunce. Soltanto tra il novembre 2014 e il febbraio
2017 sono stati pagati 26 risarcimenti, per un totale di 13,2 milioni di dollari.
Recentemente, anche un altro afroamericano è stato rimesso in libertà, dopo
aver passato 43 anni in prigione, 26 dei quali nel braccio della morte. Si
tratta del georgiano Johnny Lee Gates, che per essere liberato è stato
costretto o firmare un patteggiamento nel quale si affermava che lo stato della
Georgia aveva abbastanza prove per condannarlo. Quindi, nonostante fosse
innocente, questo compromesso è stato l’unico modo per uscire di prigione, ma
naturalmente per lui non si prospetta nessun risarcimento.
Quando il 15 maggio scorso Gates è tornato finalmente in libertà, ha
dichiarato: “Ho lottato per 43 anni perché si avverasse questo giorno. Ho sempre avuto
fiducia che questo giorno sarebbe arrivato. Sono innocente. Non ho commesso
quel crimine. Quello che mi è successo è qualcosa che non dovrebbe accadere a
nessuno. Ma non sono amareggiato. Ringrazio Dio di essere qui, e sono felice di
essere in libertà.”
Anche in piena pandemia di Covid-19 non si ferma l’azione del
boia, che il 19 maggio scorso, nel carcere di Bonne Terre
in Missouri, ha ucciso il probabile innocente Walter Barton con una iniezione
letale. Inoltre, prosegue pure
l’incessante attività forcaiola dell’amministrazione di Donald Trump, che sta
riuscendo a rimettere in moto la macchina delle esecuzioni capitali a livello
federale: dal 1988 ad oggi ci sono state “solo” tre esecuzioni, l’ultima delle
quali il 18 marzo 2003, giorno in cui fu messo a morte il militare nero Louis
Jones Jr. Ora il nuovo protocollo per le esecuzioni, voluto dall’Attorney
General William Barr, permette di tornare a uccidere legalmente anche nella
giurisdizione federale.
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