Il grande chitarrista classico brasiliano sarà a Roma presso l’AIMART, l’Accademia di Musica e Arti.
di Marco Cinque
In musica una nota è una nota: un “do” è sempre un “do”, un “sol” è un”sol”,
così come il pentagramma che le ospita è ogni volta immancabilmente il
medesimo, composto da cinque linee parallele. Quando ascoltiamo o eseguiamo un
brano da uno spartito, quindi, non dovrebbe esserci nulla che metta in
discussione tale principio; ma se questo è l’unico dettato che determina e su
cui si basa l’universo sonoro, allora la musica stessa si riduce a un freddo
calcolo matematico incapace di sorprendere, meravigliare, emozionare, inventare
e reinventarsi.
Può sembrare strano eppure, anche in quella che ci sembra una singola nota,
esatta ed assoluta, vivono invece un’infinità di mondi e sfumature capaci di
renderla ogni volta unica, inimitabile, uguale eppure diversa sia da quella
precedente che da quella successiva. Qui entra in gioco la capacità dell’essere
umano che, pur se meravigliosamente imperfetto, a differenza di un dispositivo
meccanico o elettronico, è capace di dare ad ogni componimento scritto una sua
propria specifica lettura. Ciò significa che l’artista non esegue semplicemente
come un registratore, ma interpreta con la sua sensibilità l’assieme di spazi
sonori che, unitamente agli spazi di silenzio, generano la complessità della
musica stessa, unendola simbioticamente a quella propria che abita la sua anima
e il suo spirito.
Ho avuto il privilegio e la buona fortuna di incontrare e ascoltare artisti
che, senza la necessità di alcuna spiegazione o specifica lezione, mi hanno
trasmesso questa consapevolezza, senza la quale la musica si ridurrebbe a mera
esecuzione, la poesia a un esercizio di scrittura e ogni altra forma di arte a
un’occasione per mostrare il proprio ombelico, come se questo fosse il centro
del mondo.
Uno di questi è Marcos Vinicius, un musicista, virtuoso, compositore,
concertista, educatore a cui tutte queste definizioni vanno comunque strette e
non rivelano il suo autentico spessore. Passione e dedizione, estasi e fatica
fanno di Marcos un artista che non marca alcuna distanza tra la sua musica e la
sua vita. Lui è la sua musica e viceversa, in un equilibrio variabile che va
continuamente nutrito e curato e che non permette mediazioni strumentali o
distrazioni sterili, pena il decadimento del sacro fuoco che lo rende una sorta
di “poeta-contadino” della chitarra classica, poiché da una parte sonda gli
sprofondi dell’animo, mentre dall’altra semina quotidianamente tra le giovani
generazioni.
La sua opera febbrile costituisce per lui un’urgenza, necessaria come il
mangiare, il bere e il respirare. Quando interagisce col pubblico, con gli
studenti, col mondo che lo circonda, Marcos stabilisce un percorso di
reciprocità che annulla le distanze, le barriere e persino le convenzioni
riposte nei ruoli, riportando la musica nel suo alveo più alto: quello che fa
di noi degli esseri umani ancora degni di chiamarci tali.
Marcos non ama le etichette generalizzanti, i facili stereotipi: pur se
brasiliano infatti lui rifugge il cliché della “brasilianità”, come non
permetterebbe mai, anche se attualmente vive in Italia, quello
dell’”italianità”. Questi luoghi comuni, che determinano un’appartenenza o una
sorta di campanilismo, se da un lato renderebbero materialmente più conveniente
e redditizia la sua carriera professionale, dall’altro toglierebbero alla sua
musica quell’universalità che è il suo faro, il suo viaggio, il suo approdo.
Da quando, a soli otto anni, ha incontrato la sua prima chitarra, Marcos ne ha
fatto lo strumento per coltivare il proprio spirito e per donarne poi i
germogli. Da allora quel bambino continua ad abitarlo, a tenerlo per mano, a
condurlo e a farsi condurre e persino il suo volto di uomo maturo ha saputo
mantenere quello sguardo ingenuo e pieno di sogni. So che il rispetto e il
pudore gli impongono il sorriso, che è ciò che Marcos mostra al mondo, ma so
pure che dietro quel sorriso così dirompente si cela un tormento, un disagio
profondo e reale che lui cerca di curare con la medicina della musica. È il
dolore che lo apparenta all’altrui dolore, quello degli ultimi, degli sconfitti,
degli invisibili. Un dolore che lo porta tra i detenuti, al fianco dei bambini
che le società ricche e opulente lasciano morire di fame, vicino alle donne
abusate, ad impegnarsi in prima persona per i diritti umani violati. “L’avere il cuore infranto è l’inizio di ogni
vera accoglienza”, scriveva il grande poeta statunitense Jack Hirschman, ed
è proprio in questi versi che io riconosco lo spessore umano e artistico di
Marcos.
Purtroppo siamo alle soglie di un mostruoso decadimento socioculturale, e un
nuovo medioevo quindi si prospetta; i segnali che lo rivelano purtroppo sono
evidenti: “con la cultura non si mangia”, è infatti il leit motiv di questi
ultimi governi. Ne conseguono tagli spietati all’unico patrimonio che potrebbe
alimentare e mantenere l’intero Paese. Le prospettive nefaste di un mondo senza
arte né cultura trasformerebbe inevitabilmente le persone in involucri di carne
ed ossa, consumatori e consumati facilmente controllabili e gestibili dal
despota di turno. Invece di promuovere e incentivare le uniche vere risorse che
abbiamo in Italia, si sacrifica tutto ciò che c’è di buono sull’altare del
sacro business: la scuola pubblica è umiliata, le accademie decadono, lo
storico conservatorio romano non seguirà più il Pe-accademico, le iniziative culturali più
sensate vengono spazzate via dalle becere logiche del profitto. Come porre un
argine a tanto crescente degrado?
Nel suo piccolo Marcos, assieme ad altri illustri esponenti della musica e dell’arte
tutta, sta attualmente tentando di porre un freno a questa inarrestabile
deriva, attraverso l’adesione al progetto AIMART, cioè l’Accademia di Musica e
Arti fondata proprio dall’ex direttrice, sia del Conservatorio di Santa Cecilia che della didattica al Teatro dell'Opera di Roma,
Edda Silvestri, che assieme al regista Francesco Antonio Castaldo sta sperimentando
un’alternativa concreta e possibile al deserto lasciato dalle disgraziate
scelte governative.
L’AIMART costituirà un’opportunità a prezzi accessibili, con una formazione
didattica guidata da artisti di assoluto rilievo, che formeranno praticamente in
tutte le discipline: dalla musica al canto lirico, fino al teatro, cinema e
danza. In questo nuovo avamposto di resistenza culturale (la sede è a via Bachelet,
12) della capitale, Marcos Vinicius sarà una delle colonne portanti, che
tenterà in ogni modo di far rinascere la fenice dell’arte dalle ceneri delle
insulse politiche mercantili.
Un essere umano deprivato della bellezza che nutre il suo spirito, è destinato
a diventare inevitabilmente un essere disumano.
Buon viaggio dunque, caro Marcos, in quella che sarà una delle poche “guerre”
che vale davvero la pena di essere combattuta: imbracciamo le nostre chitarre,
i nostri flauti, armiamo le nostre voci, carichiamo i nostri corpi e
affrontiamo questa barbarie con tutta la bellezza riposta nelle nostre menti e
nei nostri cuori… infranti, naturalmente.
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