RiEvoluzione Poetica

mercoledì 22 luglio 2020

XIAO XIANG: La piccola, grande storia di Nai Nai


di Marco Cinque

A volte, per riuscire a capire le grandi storie, bisogna imparare a leggere quelle più piccole. La vastità e la bellezza di un orizzonte risiedono soprattutto nel cuore di chi lo guarda ed è la prospettiva del nostro sguardo a dare l’esatto valore e la giusta misura al tempo delle nostre vite.
Che senso avrebbe la Storia, quella che riempie le sue pagine maiuscole di grandi nomi, di illustri personaggi, senza le piccole storie quotidiane di tante invisibili e anonime persone?  È proprio in questa invisibilità, in questo anonimato che, se sappiamo guardare, riusciamo a trovare anche una parte di noi, un qualcosa di intimo che ci appartiene, chiunque siamo, in qualunque tempo viviamo e da qualsiasi luogo veniamo.
Andare “verso” e non “via da” è il nesso, è il viaggio che unisce le diversità senza bisogno di stabilire una meta, che alla fine è sempre un altrove irraggiungibile. La vera meta forse risiede proprio nella nostra stessa umanità, quella universale che vive nelle piccole vicende umane che viaggiano, si incontrano, si mescolano, si scambiano radici, respiri, sogni.
Abbiamo il potere di distruggere o di costruire coi mattoni dell’errore, dell’inganno, della violenza, ma abbiamo anche la possibilità di non arrenderci a questa ineluttabilità e di rimediare a tutto ciò che facciamo di sbagliato.
Nel peggiore dei mondi possibili, in uno degli angoli di buio dell’umanità, una piccola luce ha avuto modo di manifestarsi, di esistere e resistere, fino a riempire il cielo. Il suo nome bellissimo è Xiao Xiang, cioè Piccola Luce, nata in tempi segnati dalla discriminazione di una cultura patriarcale, acuita ancor più dalla povertà e dalla miseria.
Ho letto la storia di Piccola Luce in questo libricino autobiografico, intitolato “La piccola, grande storia di Nai Nai”: circa settanta pagine che racchiudono quasi un secolo di vita. Un libro che non è solo un oggetto editoriale, ma una sorta di testamento che i suoi cari, parenti e amici, hanno  voluto regalarle e regalarsi per tenere viva la sua memoria.
Navigare in queste pagine scritte in prima persona, in maniera semplice e diretta, è come ritrovarsi sballottati su un’altalena di sentimenti, dove il tempo scorre senza misura, catturandoti nei suoi meandri insondabili. Emozioni profonde e spesso lancinanti, sono dettate dall’empatia e dalla vicinanza che Piccola Luce è capace di trasmettere con tanta umiltà. Questa minuscola, immensa donna, si trasforma in un pezzo di te che stai leggendo: ti toglie il fiato e contemporaneamente ti rende la purezza del respiro; ti strappa le lacrime e allo stesso tempo di dona la carezza di un sorriso. È l’alchimia unica di una donna che sa essere tutte le donne, di un’anima capace di vivere in ogni anima. È il fior di loto - parafrasando Iyengar - che sa splendere dal fango in cui è costretta a crescere.
Grazie dal centro del cuore, cara Xiao Xiang, per questo impagabile dono che ci hai lasciato. Ho potuto salutarti di persona così poche volte, l’ultima quando sei venuta a casa mia e ho potuto abbracciarti, ma ora posso dirti che quell’abbraccio di pochi istanti non si interromperà mai.
Ciao Piccola Luce, ovunque tu sia.

martedì 7 luglio 2020

Usa: il razzismo della pena di morte


di Marco Cinque
Nel 2007 l’Fbi venne condannata a sborsare un sostanzioso risarcimento record di ben 101,8 milioni di dollari per quattro italo-americani di Boston: Henry Tameleo, Louis Greco, Peter Limone e Joseph Salvati, ingiustamente condannati alla pena capitale e rinchiusi in una cella della morte per 33 anni. Per i primi due, purtroppo, non ci fu nemmeno modo di godere del risarcimento, poiché morirono in carcere prima del processo che stabilì la loro innocenza.


Recentemente è emersa un’altra vicenda simile, si tratta di tre ex condannati a morte afroamericani che hanno trascorso quasi quattro decenni in carcere a causa della condotta illegale della polizia. Purtroppo sono frequenti i casi dove gli agenti di polizia si macchiano di comportamenti brutali dove terrorizzano, minacciano imputati e testimoni, producono prove false, occultando invece prove di innocenza. 

È il caso dei tre afroamericani Kwame Ajamu, Wiley Bridgeman e Rickey Jackson, condannati a morte nel 1975 dallo stato dell’Ohio per un crimine che non avevano mai commesso. Quando furono incriminati e processati, con l’utilizzo di prove false e la testimonianza del dodicenne Eddie Vernon, costretto a mentire dagli agenti, i tre imputati erano tutti giovanissimi: Ajamu aveva appena 17 anni, quindi era minorenne, Jackson ne aveva 18 e Bridgeman ne aveva 20.

Per capire come sia possibile che questi fatti avvengano con regolare frequenza, basta consultare tutti i dati statistici disponibili, i quali confermano che il sistema penale degli Stati Uniti punisce in maniera oggettivamente discriminatoria e razziale, dal momento che, percentualmente, le minoranze sono immancabilmente ai primi posti nelle classifiche delle incarcerazioni e delle condanne capitali. Il primato di queste minoranze tartassate tocca ai nativi americani, seguiti a ruota dagli afroamericani. Quindi anche queste vicende intrise di razzismo istituzionale si connotano nell'attuale tragedia che ha visto la morte di George Floyd per mano, anzi per ginocchio, di un agente di polizia.


Tornando alla vicenda giudiziaria degli imputati afroamericani dell'Ohio, i tre furono processati quattro mesi dopo la rapina e l’omicidio di Harold Franks. Il dodicenne Vernon, testimone chiave del crimine, fu costretto a mentire dagli agenti che minacciarono di mandare in prigione i suoi genitori se non avesse collaborato e all’epoca la madre dell’adolescente era anche malata di cancro. 

A seguito della causa civile contro la polizia dell’Ohio, il risarcimento di 18 milioni di dollari stanziato per i tre ex condannati a morte è il più elevato mai concesso in questo Stato: Jackson riceverà il 40% dell'indennizzo, Bridgeman e Ajamu invece si divideranno equamente il resto.  Quando è stato raggiunto l'accordo per il risarcimento, Ajamu ha affermato: “Il denaro non può comprare la libertà e il denaro non è il riconoscimento dell’innocenza, ma questo accordo era l’unico modo per dire al mondo che è stato fatto un torto a tre ragazzi neri 45 anni fa”.  


Purtroppo ancora oggi il  dipartimento di polizia di Cleveland continua ad avere una pessima reputazione, ricevendo continuamente accuse e denunce. Soltanto tra il novembre 2014 e il febbraio 2017 sono stati pagati 26 risarcimenti, per un totale di 13,2 milioni di dollari.


Recentemente, anche un altro afroamericano è stato rimesso in libertà, dopo aver passato 43 anni in prigione, 26 dei quali nel braccio della morte. Si tratta del georgiano Johnny Lee Gates, che per essere liberato è stato costretto o firmare un patteggiamento nel quale si affermava che lo stato della Georgia aveva abbastanza prove per condannarlo. Quindi, nonostante fosse innocente, questo compromesso è stato l’unico modo per uscire di prigione, ma naturalmente per lui non si prospetta nessun risarcimento.


Quando il 15 maggio scorso Gates è tornato finalmente in libertà, ha dichiarato: “Ho lottato per 43 anni perché si avverasse questo giorno. Ho sempre avuto fiducia che questo giorno sarebbe arrivato. Sono innocente. Non ho commesso quel crimine. Quello che mi è successo è qualcosa che non dovrebbe accadere a nessuno. Ma non sono amareggiato. Ringrazio Dio di essere qui, e sono felice di essere in libertà.”


Anche in piena pandemia di Covid-19 non si ferma l’azione del boia, che il 19 maggio scorso, nel carcere di Bonne Terre in Missouri, ha ucciso il probabile innocente Walter Barton con una iniezione letale. Inoltre, prosegue pure l’incessante attività forcaiola dell’amministrazione di Donald Trump, che sta riuscendo a rimettere in moto la macchina delle esecuzioni capitali a livello federale: dal 1988 ad oggi ci sono state “solo” tre esecuzioni, l’ultima delle quali il 18 marzo 2003, giorno in cui fu messo a morte il militare nero Louis Jones Jr. Ora il nuovo protocollo per le esecuzioni, voluto dall’Attorney General William Barr, permette di tornare a uccidere legalmente anche nella giurisdizione federale.