RiEvoluzione Poetica

martedì 5 agosto 2014

Ferruccio Brugnaro

IL POETA OPERAIO

Marco Cinque
 
Oggi 78enne, il poeta e scrittore autodidatta Ferruccio Brugnaro ha iniziato a lavorare negli anni ‘50 come operaio a Porto Marghera, facendo parte per molto tempo del Consiglio di Fabbrica Montefibre-Montedison, dove per decenni è stato una delle figure di spicco delle lotte del movimento operaio. Pertanto da molti è conosciuto come il “poeta operaio” e attualmente rappresenta uno dei pilastri viventi della poesia contemporanea italiana. Divulgato negli Stati uniti da Jack Hirschman, suo amico, traduttore ed emblema della controcultura statunitense, Brugnaro è stato tradotto anche in paesi come Cina, Francia, Germania, Inghilterra e Grecia.
Nel 1965 Ferruccio inizia a pensare che la poesia può essere un linguaggio molto efficace per denunciare soprusi e rivendicare diritti, così decide di ciclostilare su volantini e distribuire le sue opere nelle periferie, nelle scuole, tra i lavoratori delle fabbriche. Alcune sue poesie degli anni ‘70 si possono persino leggere tra i murales di Orgosolo. Ma anche il suo impegno in sostegno della pace è intenso: ad esempio, nel 1990 furono affissi più di 500 manifesti sui muri di Venezia e di Mestre, che riportavano una sua poesia contro la guerra.
La sua poetica senza padrini né padroni risulta difficile da “inquadrare” per l’incipriato universo critico e accademico ed è alquanto arduo per i pseudo-depositari della letteratura nostrana riuscire a darne uno straccio di definizione sensata, che descriva il valore espresso dalla sua lunga e impegnata militanza di autore, tanto apprezzato fuori dai confini nazionali quanto pressoché ignorato da un mondo culturale salottiero, autoreferenziale e sempre più ostaggio di un business editoriale notoriamente in mano ai pochi e soliti noti che ben conosciamo.
Una raccolta di sue poesie dal titolo Le follie non sono più follie, è stata quest’anno pubblicata per le edizioni SEAM, con una prefazione di Igor Costanzo. Illuminanti molti dei suoi testi, ancora talmente attuali da sembrare quasi impossibile siano stati scritti negli anni ’70: “La crisi, c’è la crisi. / Non vedete, non capite compagni che c’è la crisi / il padrone non ce la fa più / non può più sostenere questa situazione. / Diamogli una mano compagni / (…) non chiediamo più aumenti salariali, / non occorre andare più in pensione / aboliamo le ferie / (…) bisogna lasciare stare le lotte, i contratti. / La produzione, il profitto, i padroni / compagni / sono in pericolo / accorriamo, accorriamo compatti, / C’e la crisi”.
Ferruccio non scrive per se stesso, lo fa per gli altri e gli altri per lui non sono una casta letteraria o un’elite culturale, ma il popolo, la gente comune, gli sfruttati, i perseguitati, gli sconfitti, gli “ultimi” di ogni estrazione e latitudine che lui canta in testi pieni di forza, passione, tenerezza. Non vuole dimostrare, ma mostrare. Non esibire, ma donare. Più che un operaio Ferruccio è un contadino delle parole, semina versi che andrebbero adottati soprattutto dalle ragazze e dai ragazzi delle scuole, letti da soli o in gruppo, lasciati sulla pagina o divulgati ad alta voce nelle strade, nelle piazze, nelle carceri, nei luoghi della sofferenza e in quelli dove ci si incontra e si cresce.
In questo autore straordinario emerge soprattutto una coerenza irriducibile, che non lascia separate le parole dai fatti, la poesia dall’azione, la cultura dalla lotta. E la coerenza, si sa, oggi è divenuta una merce davvero rara. Mai come adesso, in questi tempi di deprivazione dei diritti, di spoliazione delle conquiste sociali e civili e di guerre sempre più sanguinose, c’è necessità di restare umani e di farlo anche attraverso la parola poetica di Ferruccio Brugnaro: “Le guerre non prevarranno / non avranno l’ultima parola. / E’ nata Piera Maria. / La gioia strepita sui davanzali del mondo. / La vita trionfa”.


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