RiEvoluzione Poetica

martedì 13 settembre 2022

POETI E POESIA

di Marco Cinque

 

Non so se credere o meno nell'effettiva esistenza dello status di poeta, di certo credo che esista la poesia, pur con tutta l'indefinibilità che la contraddistingue. Penso che la poesia, nelle sue molteplici forme, sia uno stato dell'essere che abita in ciascuno di noi, nessuno escluso, anche se poi in molti perdono o dimenticano qualunque contatto con essa, così come d'altronde si perde o si dimentica anche il nostro stesso essere umani, visto l'incombere di cotanta disumanità.

Non trovo nemmeno accettabile il fatto che se si scrivono e si pubblicano libri di poesia, significa che ci si possa automaticamente anche fregiare del titolo nobiliare di “poeta”. Molti dei cosiddetti “poeti”, infatti, in realtà sono più che altro dattilografi o assemblatori di parole, a prescindere dalla loro notorietà, dal talento linguistico (nel senso dell'uso ruffianesco della lingua) o dagli amici importanti nei posti giusti.

Al di là di chi siamo, di chi fingiamo di essere e di chi non saremo mai, la cosa più indigesta per chi fa della poesia la propria stessa esistenza, piuttosto che un pretesto per la notorietà o uno strumento di esibizione e/o affermazione, è sentirsi dire la frase fatidica: “comunque il tuo vero valore verrà alla luce per i posteri”. Il problema è che quel medesimo valore riconosciuto eventualmente post-mortem, in vita viene invece ignorato, sminuito e persino deriso, mentre la coerenza su cui si fonda il senso della poesia ti condanna irrimediabilmente a una povertà materiale. O meglio, materialistica.

Figuriamoci poi se per chi non ambisce ad “essere qualcuno” in vita glie ne freghi qualcosa di esserlo dopo la morte. Questa è solo una scemenza consolatoria, come quella che dice che i poveri sono ricchi dentro. Ma poter condurre una vita almeno dignitosa e ambire, al massimo, a riconoscimenti come ad esempio la “Legge Bacchelli” in Italia (per fortuna che esiste. Non per molti, ma esiste), ti costringe comunque a stabilire un compromesso con l'etichetta di “poeta” o di artista più in generale. Quindi, che ti piaccia o meno, devi fregiarti di quel titolo astratto, di quel ruolo fittizio, di quel mestiere spesso disconosciuto, anche se non ci credi, perché purtroppo è l'unico che possa darti da mangiare, soprattutto quando la vecchiaia e i malanni ti divorano un boccone dopo l'altro.

Allora devi scontare persino l'umiliazione di questa contraddizione, quando la poesia in cui credi ti chiede di guardarla negli occhi, che sono quelli della verità dell'essere, per scoprire che proprio quell'essere ha purtroppo dovuto piegarsi ad altre ragioni, ad altre necessità. Quindi quella verità si allontana da te, lasciandoti più solo di quando eri solo, più nudo di quando non avevi che la tua pelle, perché quando la poesia è per te una necessità come l'acqua da bere o l'aria da respirare, non puoi avvelenarla o inquinarla, dato che lei stessa ne morrebbe prima ancora che possa morirne tu.

E mentre si muore, la poesia è forse l'ultima cosa che resta viva sulle labbra. L'unica ambizione allora è che possa farlo in tutta la sua incompiuta purezza, in tutta la sua insondabile verità. La poesia perciò non può essere un mezzo per ottenere la felicità, al contrario, è più probabile che diventi un percorso che costa un prezzo molto salato, che non riuscirai mai a pagare. Poi la consapevolezza che dovrai elaborare quel dolore per farne un tuo compagno di viaggio, trasforma l'idea stessa di felicità, mettendo in crisi tutto il suo carico retorico. Ecco perché ridi nonostante le lacrime. Ecco perché continui a cercare nonostante la disperazione. Ecco perché seguiti ancora a chiederti: “come potrò mai fare di questo tormento la gioia altrui?”.


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