RiEvoluzione Poetica

sabato 9 settembre 2023

MAURO MACARIO: il rumore della nebbia

 

MAURO MACARIO
Il rumore della nebbia”, Puntoacapo Edizioni.

di
Marco Cinque

Sembra quasi che si muova su una zattera di versi il mondo poetico di Mauro Macario, avanzando attraverso il sordo “Rumore della nebbia”, forse in cerca di un approdo, di un faro, di un bandolo che non gli faccia perdere la strada nel labirinto della follia umana e dei tanti Minotauri che la abitano.

Ho tra le mani questo piccolo libretto, la copertina ruvida, essenziale. Dentro c'è la dedica del suo autore e la prefazione di Marco Ortolani, che ho molto apprezzato, ma anche rimandato, come mia prassi, alla fine della lettura del viaggio in versi, non per mancanza di considerazione o rispetto, ma per non esserne in qualche modo condizionato e mantenere un mio personale metro di lettura.

Ammetto di non essere capace - e nemmeno mi piace - di scrivere una recensione letteraria forbita o una critica accademica colta, quello è un mondo che non mi appartiene e mi fa invece pensare a quelle ricette mediche piene di parole incomprensibili se non per gli addetti del mestiere ma, per quel che mi riguarda, temo che la poesia non sia mai stata un mestiere.

E allora sono qui, il più nudo possibile da preconcetti e sovrastrutture, libero da gabbie stilistiche e prigioni formali, a farmi condurre dalla zattera di Macario. La necessaria nudità, indossata per avere una prospettiva di sguardo incontaminata, conduce in una dimensione che rende possibile ascoltare e sentire oltre le parole scritte, a percepire il non detto, a dare un suono anche alle pause tra le parole, a decifrare l'indecifrabile che la poesia detiene per sua stessa natura, una natura capace di essere al contempo sia personale che universale.

C'è il sorriso tragico del pagliaccio, la consapevolezza più lucida e feroce, l'ironia e l'autoironia più coraggiose e già dalle righe inaugurali del primo testo,
Crociera forza sette, la zattera di Macario è scossa dai flutti scomposti della controversa natura umana e da tutti i suoi continui naufragi: “Le conchiglie frantumate sulla battigia / hanno lasciato le voci sul fondo / a calpestarle / scrocchiano come ossa rotte / la memoria fragile dei vecchi / si china ogni inverno / su spiagge gelate / a incollare sussulti / al silenzio dell'età”.

Il ricorso alla radiografia letteraria, o peggio, alla vivisezione dei testi poetici, per la mia soggettiva e discutibile opinione, non ha alcun senso, a maggior ragione davanti a chi ammette senza tanti fronzoli: “Io scrivo senza censure / perché poesia e anarchia / sono gemelle in utero mundi...”. Dunque, anche lo sguardo di chi legge dovrebbe essere capace di sentirsi parte dello stesso “utero mundi”, per riuscire a liberare gli occhi dalle prigioni di visioni precostituite.

Il viaggio poetico di Macario è durato due mesi, mentre poco più di un'ora è stato il mio tempo di lettura. Eppure, la sensazione che tra un'ora e due mesi non ci sia stata alcuna differenza, alcuna distanza, è forte e mette in discussione persino le nostre soggettive leggi del tempo, perché alla fine il tempo di un fiore, nella sua percezione, non è più breve di quello d'una sequoia. La differenza forse sta nella capacità di saper appartenere al tempo piuttosto che pretendere che esso ci appartenga, piegandolo alle nostre ridicole ed egoistiche esigenze.

Finito di leggere, richiudo il libretto e scendo dalla scomoda zattera di Mauro Macario, sperando che la nebbia si sia diradata e il suo rumore disperso. Invece mi ritrovo ancora qui, nella stessa deriva, nello stesso viaggio, nello stesso labirinto, nella stessa nebbia, nella stessa poesia che mi ha racchiuso in sé e che non mi lascerà più andar via. È come se tra chi scrive e chi legge si diventasse un tutt'uno, stelle dello stesso cielo, naufraghi dello stesso mare.





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